1. – Funzioni e organizzazione sociale

L’ape è un insetto e appartiene all’ordine degli imenotteri, è un insetto sociale, vive in famiglie molto numerose, che noi chiamiamo sciami e possono comprendere fino a 60.000 individui. Lo sciame vive normalmente in un ‘arnia. All’interno di uno sciame le incombenze vengono equamente distribuite tra tutti gli individui. Solo grazie a questa marcata suddivisione dei compiti un’ape può sopravvivere all’interno di questa società. Vediamo più in particolare. In uno sciame troviamo una regina, molti fuchi (i maschi), moltissime api operaie.

La regina

E’ più grossa e più grande delle operaie, nasce da un normale uovo, ma allo stadio di larva viene nutrita sempre con pappa reale. E’ l’unica femmina fertile dello sciame ed è destinata a deporre le uova, dalle 1.500 alle 3.000 al giorno. Vive da uno a cinque anni ed è sempre circondata da una corte di 10-12 api che la nutrono con pappa reale per tutta la vita. Si fa fecondare una sola volta in vita da uno o più fuchi durante il volo nuziale che fa durante i primi 10-15 giorni dopo la nascita.

I fuchi

Nascono da un uovo non fecondato e sono più grossi, tozzi e pelosi di un’ape operaia.Sono presenti nell’alveare da maggio a fine agosto in numero che varia da 2.000 a 4.000. Fecondano la regina durante il volo nuziale, non partecipano alla raccolta del nettare e del polline e vengono allontanati dall’alveare dalle operaie a fine stagione.

L’ape operaia

Nel corso della sua vita attiva svolge molti compiti. La larva nasce dopo tre giorni da un uovo fecondato, deposto dalla regina in una celletta e viene nutrita con pappa reale per i primi tre giorni e poi con miele e polline. In una celletta chiusa con un opercolo permeabile all’aria compie la metamorfosi dal 12° giorno in poi, il 21° giorno esce dalla celletta e inizia la sua attività. Dal 1°al 3°giorno si occupa delle pulizie nell’alveare. Dal 3° al 10° diviene nutrice e fornisce alle larve, api in via di sviluppo, miele e polline prelevati dai favi e produce la pappa reale. Dal 10° al 15° giorno effettua voli di ricognizione, ma continua a lavorare all’interno dell’arnia. Dal 12° al 18° giorno produce cera e costruisce i favi. Dal 18° al 21° fa la guardiana all’ingresso e usa il pungiglione solo per difendere l’arnia dai nemici. La puntura comporta la morte della stessa ape cosicchè essa punge solo in caso di estrema necessità. Dal 21° giorno alla morte diventa bottinatrice e raccoglie nettare, polline, acqua e propoli, una resina prodotta da alcune piante e usata dalle api come sigillante e come disinfettante. Per la raccolta di nettare ed acqua usa la lingua, con la funzione di una vera e propria pompa aspirante; per la raccolta di polline ha sulle zampe appositi organi: spazzole, raschietto, rastrello, cestelle. Le api sono anche un efficientissimo condizionatore d’aria: quando è freddo col calore prodotto dal loro metabolismo scaldano l’arnia portando la temperatura ad un livello che permette la vita della famiglia. Quando è troppo caldo le bottinatrici portano acqua: queste goccioline vengono spalmate sulle cellette ed evaporando raffreddano la temperatura: la corrente d’aria creata dal movimento delle ali elimina l’umidita dall’arnia. La durata della vita di un’ape operaia cambia a seconda della stagione in cui nasce, dalle poche settimane d’estate fino ai sei mesi delle api autunnali, che passano l’inverno con la regina.

2. – L’arnia

Da quando l’uomo alleva le api ha sempre cercato di usare contenitori per le famiglie, che permettessero di togliere il miele senza danneggiare i favi o disturbare le api. Le casette moderne delle api hanno telai mobili che permettono di sfilare i favi interi senza romperli. Un poco di fumo durante il lavoro rende tranquille le nostre amiche api.

3.Il miele : Dal fiore al vasetto

IL MIELE

Il principale prodotto delle api
Alla fine dell’inverno nell’alveare le scorte di cibo e il miele raccolto nella passata stagione stanno per finire. Le bottinatrici, le api più esperte dedite alla raccolta delle provviste, trovano sui primi rari fiorellini un po’ di polline e nettare: il polline è la polverina che possiamo vedere all’interno dei fiori, il nettare è quel liquido dolce che i fiori producono all’interno del loro calice per attirare gli insetti: entrambi servono alle api per la propria alimentazione. Con l’avanzare della primavera aumenta la temperatura dell’aria, i prati e gli alberi si coprono di fiori, sempre più nettare arriva nell’alveare. L’arnia si riempie di provviste, la regina depone un numero sempre crescente di uova e nascono un maggior numero di api. L’apicoltore sa che è giunto il momento di mettere sopra le sue arnie il “melario”, il magazzino dove le api porteranno le scorte di miele.
Iniziano le fioriture importanti come la cicoria, l’acacia, il tiglio, il girasole, e poi in estate il castagno, il rododendro… Le api esploratrici, quando trovano tanti fiori, cioè una sorgente di nettare abbondante e buono, indicano alle loro compagne, per mezzo di una danza, dove andare a bottinare. Tutte le api si recheranno sugli stessi fiori ed il melario si riempirà di nettare dello stesso tipo, con le caratteristiche dei fiori visitati. Avremo così i classici monoflora: acacia, tiglio, girasole, castagno, rodondero e tarassaco. Questo nettare non è ancora il miele: è nelle cellette di cera, nel “favo”, che si completa la sua trasformazione in miele, grazie al lavoro delle giovani api, che ancora non sono in grado di volare sui fiori. Queste prendono il nettare portato dalle bottinatrici, vi aggiungono particolari sostanze da loro prodotte, gli enzimi, e lo immagazzinano nelle cellette; poi, muovendo le ali all’interno dell’alveare, creano una corrente d’aria che fa evaporare l’eccessiva umidità contenuta nel nettare che si trasforma finalmente in miele. II miele monoflora si ha solo se la stagione si mantiene buona per un lungo periodo e le fioriture durano a sufficienza affinchè le api possano riempire il melario con il miele proveniente da un solo tipo di fiore. In alternativa l’apicoltore può spostare le api portandole in altre zone, seguendo le varie fioriture pratica cosi “il nomadismo”. Invece se, prima di riempire il melario, accade che ad una fioritura importante si sostituiscano altri tipi di fiori, le api visiteranno molte specie botaniche: questo miele avrà una varietà e ricchezza di odori, sapori, colori derivanti da tutti i differenti flori visitati. Avremo cosi il miele millefiori. Una volta che i favi sono pieni ed il miele ha raggiunto il giusto grado di umidità, le api chiudono le cellette con un tappo di cera impermeabile: “l’opercolo”, ed il miele resta protetto ed incontaminato.

LA SMIELATURA

A quel punto l’apicoltore preleva i melari e li porta in laboratorio per la smielatura. Questa si inizia togliendo gli opercoli di cera e introducendo i favi nello smielatore, una centrifuga che ruotando fa uscire il miele dalle cellette senza rovinare i favi di cera. Questi sono poi restituiti alle api che vi immagazzinano il successivo raccolto, risparmiando il lavoro di ricostruzione. II miele viene prelevato dallo smielatore, passato in un filtro per eliminare i pezzi di cera e lasciato decantare nei maturatori. Alla fine viene messo nei vasetti, pronto per il nostro consumo, senza subire alcuna lavorazione così come lo hanno fatto le api.

L’IMPOLLINAZIONE

una attività delle api poco riconosciuta ma utilissima in agricoltura
Con il loro lavoro le api producono il miele, il polline, la pappa reale, la cera, il propoli e il veleno. Questi prodotti, però, cosi buoni ed importanti per l’alimentazione e la salute umana, sono solo una piccola percentuale dei benefici che le api procurano all’uomo. L’impollinazione delle piante, svolta dall’ape nel suo vagabondare fra i fiori, è una parte importante, ma spesso poco valutata, del suo lavoro. Un fiore visitato dalle api si trasformerà in un frutto più bello e più saporito di quelli sviluppati dai fiori che non hanno ricevuto la loro visita. E’ per questo che molti frutticoltori e agricoltori chiedono agli apicoltori di portare gli alveari nel loro terreno. L’apicoltura è assolutamente necessaria all’agricoltura, che con il suo aiuto può arrivare a rendere fino a dieci volte di più. Tra tutti gli insetti le api svolgono circa l’80-90% del lavoro di impollinazione. Senza la presenza delle api e dei bombi i nostri prati perderebbero nel giro di qualche decennio tutti i loro meravigliosi colori e rimarrebbero uniformemente verdi come i prati all’inglese.

I mieli Bresciani

ACACIA

La pianta
Specie originaria del nord America, inizialmente coltivata a scopo ornamentale, attualmente diffusa ovunque come pianta infestante. Diffusa lungo fiumi e argini e nelle zone collinari.
Fioritura: maggio.
Potenziale mellifero: molto buono.
II Miele
E’ uno dei mieli più conosciuti ed apprezzati, in quanta riunisce le caratteristiche maggiormente gradite al consumatore. In Italia viene prodotto soprattutto nella zona prealpina e in Toscana, ma se ne raccolgono partite di discreta purezza anche in molte altre regioni. Nel bresciano viene prodotto in pianura e nelle zone pedecollinari e collinari. Se ne importano ingenti quantità dai paesi dell’est Europa (soprattutto Ungheria) e dalla Cina. Dal punto di vista compositivo è caratterizzato da un alto contenuto in fruttosio, responsabile delle caratteristiche fisiche e dell’elevato potere dolcificante.
Aspetti organolettici
Esame visivo. Statofisico: resta liquido a lungo, può intorbidirsi per la formazione di cristalli, ma non cristallizza mai completamente. Colore: da quasi incolore a giallo paglierino chiaro.
Esame olfattivo. Odore: di debole intensità, leggermente floreale, può ricordare il profumo dei fiori di Robinia, generico del miele, di cera nuova, di pera cotta; a volte l’odore viene definito poco fine, di “straccio bagnato”, di carta.
Esame gustativo. Sapore: molto dolce,fino a essere stucchevole, poco acido. Aroma: delicato, poco aromatico, tipicamente vanigliato, confettato, di sciroppo zuccherino, poco persistente.

CASTAGNO

La pianta
Castanea sativa Miller è uno dei costituenti principali dei boschi collinari in tutto il territorio bresciano. Coltivato fin dall’epoca romana per la produzione delle castagne e del legname, negli ultimi decenni, per motivi economici, la coltivazione si è molto ridotta, anche se il castagno continua a mantenersi come specie boschiva naturalizzata. Cresce fino ai 1.000 metri in tutte le nostre valli.
Fioritura: giugno-luglio.
Potenziale mellifero: molto buono.
II Miele
II miele di castagno costituisce una delle principali produzioni uniflorali a livello nazionale. Se ne ottengono quantità ingenti su tutto l’arco alpino, lungo la dorsale appenninica e nelle zone montuose delle maggiori isole. Spesso il miele di castagno si trova in miscela naturale con la melata prodotta su pianta stessa o con il miele di tiglio. I mieli di castagno a prevalenza di nettare tendono ad avere un colore più chiaro, un maggiore contenuto di umidità e odore e sapore più accentuati, come sotto descritti; quando invece la melata è presente in discreta quantita il colore è più scuro, il contenuto d’acqua inferiore, odore e aroma sono meno pungenti e il gusto è meno amaro.
Aspetti organolettici
Esame visivo. Statofisico: liquido o a cristallizzazione molto lenta, non sempre regolare. Colore: ambra più o meno scuro, con tonalità rossiccio/verdastre nel miele liquido, marrone nel cristallizzato.
Esame olfattivo. Odore: intenso, aromatico, pungente, acre, verde, amaro, fenolico, di ceci lessati, di cartone bagnato, di legno secco, di tannino.
Esame gustativo. Sapore: non eccessivamente dolce e con retrogusto sempre più o meno amaro, astringente. Aroma: intenso, simile all’odore tannico, molto persistente.

MILLEfIORI

In genere si definiscono millefiori (multiflora o anche poliflora) quei mieli che non sono uniflorali. Questa definizione al negativo non deve essere intesa come un’assenza di carattere o una minore qualità di questi mieli. Quello che non è vero e che non esiste un’unica categoria di millefiori ma tante quante sono le possibili combinazioni di piante. Ogni millefiori possiede proprie caratteristiche che si ripetono di anno in anno con variazioni più o meno importanti, ma che non nascondono la base: il paragone con le annate del vino è il più appropriato. A volte i millefiori sono caratterizzati da una presenza botanica che prevale e che costituisce il nucleo del miele, ma che è accompagnata da una costante flora concomitante che ne determina la specificità. In altri casi due fioriture in grado di dare anche raccolti separati si sovrappongono per diverse cause: molto conosciuto in tutto l’arco alpino il miele misto di castagno e tiglio, che coniuga due aromi diversi e molto forti, in un millefiori speciale. Altre volte le componenti del miele sono davvero mille, come capita per il prodotto delle fioriture di alta montagna. Dire da che cosa dipende quel certo aroma è davvero impossibile, ma il risultato è comunque straordinario. Si possono comunque distinguere in mieli millefiori di pianura primaverili (più chiari e delicati) ed estivi (più scuri e corposi) e in mieli millefiori di montagna, prodotti nel periodo estiva. Scoprire i diversi millefiori può essere un viaggio molto più appassionante di quello alla ricerca dei mieli uniflorali, con il grande stimolo apportato dal fatto che l’oggetto dell’eventuale scoperta costituirà una esperienza davvero irripetibile.

TARASSACO

La pianta
Specie polimorfa diffusa in tutto il territorio, ma particolarmente nella pianura. Cresce in genere in ambienti antropizzati e nei prati stabili, concimati, invecchiati.
Fioritura: marzo-aprile.
Potenziale mellifero: buono.
II Miele
II miele di tarassaco si produce allo stato uniflorale solo in condizioni e zone particolari, ma il suo nettare, fortemente aromatico, può caratterizzare molti mieli primaverili soprattutto della pianura, in associazione con altri mieli. Ha un alto contenuto di glucosio, responsabile della cristallizzazione; spesso presenta un contenuto in acqua elevato e tende a fermentare, se non viene ben curato e conservato. E’ un miele dalle caratteristiche aromatiche molto intense e particolari e quindi non da tutti apprezzato.
Aspetti organolettici
Esame visivo. Statofisico: cristallizza spontaneamente in tempi molto rapidi. I cristalli, spesso molto fini e regolari, formano una massa morbida e cremosa. Colore: giallo ambrato nel miele liquido; crema o giallo più o meno intenso quando è cristallizzato; beige-rosato o tendente al grigio se in miscela con salice o crucifere.
Esame olfattivo. Odore: molto intenso, pungente, penetrante, acuto, volgare, ammoniacale, di botte, di vino cotto, di marsala, di aceto, dei fiori della pianta essicati.
Esame gustativo. Sapore: non eccessivamente dolce. Aroma: intenso, caratteristico, più fine dell’odore, ammoniacale, di infuso di camomilla, di spezie fresche, di caramella agli oli essenziali, di rancido, produce una sensazione di freschezza, persistente.

RODODENDRO

La pianta
In genere è rappresentato in Italia da due specie che si ibridano comunemente: R. ferrugineum prevale su suoli acidi e R. hirsutum in arbusteti e boscaglie di pino in terreni calcarei. Nelle nostre valli bresciane la pianta è diffusa sopra i 1.500 mi. di altitudine.
Fioritura: giugno-luglio.
Potenziale mellifero: molto buono.
II Miele
Si produce esclusivamente nell’arco alpino a quote che non permettono la sopravvivenza degli alveari durante tutto l’anno. La produzione si awale quindi necessariamente di tecniche di nomadismo. Si tratta di una produzione non costante, costosa e rischiosa, in quanta in alta quota le condizioni metereologiche sono molto instabili. Come gli altri mieli chiari e debolmente aromatici può facilmente subire alterazioni nel colore, nell’odore e nel sapore per la presenza di altri nettari o in seguito ad operazioni inadeguate. Quando è puro è tra i mieli meno aromatici; le produzioni italiane sono però caratterizzate da un ‘aroma costante di tipo fruttato/medicinale (a volte anche abbastanza intense), probabilmente conferitogli da altre fioriture che lo rendono più facilmente identificabile all’analisi organolettica.
Aspetti organolettici
Esame visivo. Stato fisico: cristallizza spontaneamente dopo alcuni mesi, formando una massa compatta di cristalli fini o pastosa di cristalli grossi, rotondi e collosi.Colore: allo stato liquido il miele si presenta da quasi incolore a giallo paglierino chiaro, quando cristallizza il colore varia da bianco a beige chiaro.
Esame olfattivo. Odore: inesistente o molto debole,leggermente pungente, di propoli, vegetale, di anguria, di muschio, fruttato, di cosmetico.
Esame gustativo. Sapore: normalmente dolce. Aroma: quasi completamente assente o molto debole, corrispondente a quanta descritto per l’odore, di sciroppo di zucchero, vegetale, di marmellata di frutti di bosco,fine, non molto persistente.

TIGLIO

La pianta
In Italia è diffusa nei boschi di latifoglie prevalentemente nella zona prealpina e appenninica. Varietà e ibridi del tiglio nostrano e di specie esotiche sono coltivate ovunque, nei giardini, parchi e viali, arricchendo l’arredo urbano. Nel bresciano lo troviamo nelle valli e anche in parchi cittadini.
Fioritura: giugno-luglio.
Potenziale mellifero: molto buono.
II Miele
Miele uniflorale di tiglio si produce nell’arco alpino, nell’appennino settentrionale e, occasionalmente, in zone urbane o suburbane sui tigli coltivati. Spesso si trova miscelato naturalmente con miele di castagno, o con melata prodotta sullo stesso tiglio, che ne influenzano le caratteristiche organolettiche e la cristallizzazione. II nettare di tiglio è notevolmente aromatico: per questo anche mieli prodotti solo in parte su questa essenza sono fortemente caratterizzati dal punto di vista organolettico.
Aspetti organolettici
Esame visivo. Statofisico: la cristallizzazione è in genere ritardata e con elevata frequenza da luogo a cristalli grossi e irregolari. Colore: nei mieli più puri il colore è ambra molto chiaro (talvolta con riflessi verdi o gialli) nel miele liquido, da bianco a crema nel cristallizzato. 11 colore è comunque molto variabile (fino ad ambrato) in relazione alla frequente presenza di melata.
Esame olfattivo. Odore: di media intensità, fresco, mentolato, balsamico, di farmacia o medicinale, ricorda il profumo di tisana di fiori di tiglio.
Esame gustativo. Sapore: normalmente dolce, talvolta con retrogusto leggermente amaro nei mieli molto puri. Aroma: intenso, fresco, di mentolo e canfora, di tipo medicinale, di noce fresca, di erbe officinali, molto persistente.

MELATA

La Melata è una sostanza zuccherina prodotta da colonie di insetti, appartenenti principalmente all’ordine degli emitteri o rincoti che vivono a spese della linfa elaborata sottratta alle piante mediante il loro apparato boccale pungente-succhiante infisso sotto la corteccia. E’ una secrezione vischiosa, zuccherina, contenente pectine, che imbratta la vegetazione in prossimità delle colonie di questi parassiti della pianta. Appena prodotta è trasparente, incolore, successivamente assume una colorazione scura in quanto su di essa si sviluppano numerose specie fungine la cosl detta “fumaggine” che è di colore nero. La melata viene raccolta dalle api specialmente nelle zone povere di fonti nettarifere oppure nei periodi di scarsa importazione di nettare. II miele di melata è caratterizzato da un colore più scuro rispetto al miele di nettare. II sapore è leggermente più aspro, la cristallizzazione è più lenta. Nella melata il contenuto di glucosio è minore rispetto al miele di nettare, il PH è tendente all’acido, data la maggiore presenza di acidi liberi e totali. Inoltre nella melata vi è maggiore presenza di minerali oligo-elementi come il ferro, il magnese, il rame, ecc.
Nel miele di melata non si notano granuli di polline, mentre vi si trovano corpuscoli microscopici dati da spore di funghi che si sviluppano sulle melate, alghe, ecc. La melata ha un potere nutritivo ire volte superiore al miele di nettare, inoltre presenta buona capacita di bloccare l’attivita batterica. La conservabilità del miele da melata e superiore a quella del miele da nettare. In molte zone dell’Europa e dell’Italia la produzione del miele da melata è economicamente più importante di quella del miele da nettare. Le specie di insetti produttori di melata sono parecchi ma solamente alcune di esse, in particolare gli afidi, sono veramenti importanti per l’apicoltura.

ACACIA

CASTAGNO

TIGLIO

TARASSACO

RODODENDRO

MELATA

MILLEFIORI

Il miele in gastronomia

Il miele viene sempre più utilizzato anche in cucina in abbinamento con alcuni cibi o piatti e nella preparazione di alcune ricette.

SPAGHETTI AL MIELE E RICOTTA

Ingredienti:

Spaghetti gr. 400
ricotta gr. 200
miele di castagno q.b.
parmigiano grattugiato
sale e pepe
Per condire gli spaghetti cotti al dente si stempera la ricotta nella zuppiera con qualche cucchiaiata, almeno 2, abbondanti di miele; sale e pepe e parmigiano grattugiato. In questa salsa ben lavorata si gettano gli spaghetti caldi e si mescola molto bene. Se piace si può aggiungere una noce di burro.

ARROSTO DI MAIALE ALL’ARANCIA

Ingredienti per 6 persone:

Kg. 1,5 di maiale per arrosto
1 arancia
3 cucchiai di miele di acacia
1/2 dado di manzo
3 dl di acqua
sale e pepe
Legate l’arrosto, salatelo e pepatelo, mettetelo in una teglia, aggiungete poca acqua e fatelo cuocere in forno a 180 gradi per un’ora. Spennellate la superficie con due cucchiai di miele e fatelo cuocere ancora mezz’ora. Gratttugiate la buccia dell’arancia e spremete il succo. Togliete l’arrosto dalla teglia e mantenetelo al caldo. Sgrassate il sugo della cottura, versatelo in una casseruolina, aggiungete un cucchiaio di miele quindi la buccia e il succo dell’arancia. Sciogliete il dado con qualche cucchiaio di acqua calda e unitelo al sugo. Tagliate l’arrosto e sistemate le fette in un piatto di portata e copritele con la salsa all’arancia.

CROSTATA DI MELE

Ingredienti per 8 persone:

1 Dose di pastafrolla
6 mele renette o golden
100 gr. di panna
il succo di un limone
160 gr. di miele di acacia
1 cucchiaino di cannella in polvere
1 pizzico di noce moscata
Dividete la pastafrolla a metà. Stendetene una parte e coprite il fondo e i bordi di uno stampo rotondo del diametro di cm. 26 foderato di carta d’alluminio imburrata. Sbucciate le mele, tagliatele a fette e posatele nello stampo. In una ciotola mettete miele, succo di limone, spezie e panna, mescolateli bene e versateli sulle mele. Con la pasta rimasta fate un disco e coprite la crostata: pizzicate bene insieme i bordi in modo che la crostata sia ben sigillata. Fate cuocere in forno a 190 gradi per un’ora. Sformatela quando è fredda.

I prodotti dell’alveare

Altri prodotti delle api
Oltre al miele, che è sicuramente il loro prodotto più noto, le api ci danno molte altre sostanze utili

LA PAPPA REALE

La pappa reale è una sostanza secreta dalle giovani api operate mediante ghiandole speciche (le salivarie sopracelebrali o faringee) dal quinto al tredicesimo giorno di vita, dopo di chc tali ghiandole si atrofizzano.
La pappa reale è il nutrimento fondamentale per le larve delle api operaie e dei fuchi nei primi giorni dello sviluppo, mentre la larva che si trasformerà in regina continuerà ad essere nutrita esclusivamente con pappa reale, aumentando di peso circa 1250 volte in cinque giorni.
La pappa reale è anche l’esclusivo nutrimento dell’ape regina per tutta la durata della sua vita (circa cinque anni).
La pappa reale è una pasta semifluida, gelatinosa di colore bianco paglierino, ha un odore caratteristico, forte, simile a quello del fenolo, sapore acido, aromatico (PH 4).

E’ costituita da:

66% circa di acqua
14%diglucidi
10% di protidi
6% di lipidi
1% di sostanze diverse tra le quali sali minerali, vitamine (soprattutto dal gruppo B, in particolare B5 o acido pantotenico), ormoni, sostanze antibiotiche
il restante 3% e costituito dal cosidetto “fattore R “, sostanze indeterminate che sono ancora da isolare.
La pappa reale è prima di tutto uno stimolante che migliora lo stato generate dell’organismo, facilitando il metabolismo intra-cellulare. Essa rafforza le difese naturali prevenendo le malattie infettive, aumenta la resistenza agli sforzi. Aumentando l’appetito facilita il riacquisto del peso corporeo, consigliata soprattutto ad anziani, convalescenti, anemici ed anoressici. Per l’alto contenuto di acido pantotenico ha una azione stimolante sulle ghiandole cortico-surrenali ed è quindi considerata adatta agli astenici, ai depressi, ai nevrastenici e ai sovraffaticati.
Viene usata anche nella cura di malattie cutanee (cheratosi, acne, seborrea) e nella fabbricazione di prodotti cosmetici.La produzione di pappa reale è un’operazione complessa effettuata da apicoltori specializzati, la sua conservazione deve avvenire in flaconcini di vetro scuri, tenuti in frigorifero ad un temperatura costantecompresa fra i 0 e i 4°C. In queste condizioni la pappa reale può mantenersi fino a 18 mesi. Deve essere assunta al mattino a digiuno sciogliendone una minima quantità (circa 60 mg) sotto la lingua, per tre settimane, ideale la cura due volte all’anno, in primavera e in autunno.

IL POLLINE

II polline è l’elemento sessuale prodotto dalle piante per la fecondazione. Ci sono tante specie di polline quante sono le varietà di fiori. Ogni pianta produce il suo che è diverso da tutti gli altri, per forma, grandezza e colorazione. Le api lo raccolgono perchè se ne nutrono e perchè è un elemento indispensabile per l’alimentazione delle larve e la produzione di pappa reale. All’analisi, i vari tipi di polline presentano qualità diverse a seconda del clima, della quantità di sole ricevuta e della specie.

Una mescolanza di pollini diversi (millefiori o poliflora) come quella fornita dalle api contiene:

circa il 12/20 % di acqua, che viene eliminata in gran parte prima della vendita per evitare fenomeni di fermentazione,
circa il 20% di proteine (dal 7 al 30 %) per la maggior parte costituita da aminoacidi essenziali,
dal 25 al 48% di glucidi,
circa il 5% di grassi
vitamine del gruppo B-C-D-E e la provitamina A,
la maggior parte dei sali minerali (calcio, potassio, magnesio, fosforo ecc…),
enzimi che favoriscono il metabolismo di importanti funzioni organiche,
la rutina, un glucoside che esercita un’azione protettiva sui capillari,
sostanze antibiotiche e batteriostatiche,
pigmenti, responsabili del colore del polline.
II polline migliora lo stato generale dell’organismo in quanto stimola, regolarizza e riequilibra il metabolismo, aiutando anche a prevenire le aggressioni microbiche e rafforzando le difese. Grazie all’elevato contenuto di aminoacidi essenziali è un alimento proteico che ridà forza alle persone affaticate, indebolite, intossicate; indicato soprattutto per combattere l’affaticamento intellettuale e l’astenia. Dopo qualche giorno di consumo regolare di polline, si constata, generalmente, un aumento dell’appetito. E’ raccomandato in tutti gli stati carenziali: decalcificazione, rachitismo, ritardi di crescita, allattamento. Ha anche un’azione regolatrice delle funzioni intestinali ed è attivo sui batteri intestinali patogeni, molto indicato nelle diarree, combatte la colite e gli stati fermentativi. Grazie al contenuto di rutina, sostanza presente soprattutto nel polline di grano saraceno, noce e nocciolo, il polline combatte la caduta dei capelli, migliora la resistenza e la permeabilità dei capillari. Sono stati dimostrati effetti positivi del polline su varie affezioni prostatiche. In cosmetica i prodotti contenenti polline hanno azione rigeneratrice e nutriente per tutti i tipi di pelle, e anche per il cuoio capelluto.

Uso del polline. E’ preferibile usare un polline ricco di colori perchè contiene il polline di molti tipi di piante. Va masticato accuratamente per permettere un’insalivazione perfetta. Dopo averlo ingoiato si può bere dell’acqua o un infuso. Le persone che non ne sopportano il sapore possono mescolarlo al miele, yogurt o marmellate, oppure macinarlo con un macinino da caffe e mescolare la polvere ottenuta con una bevanda (acqua, latte, succo d’arancia). L’importante e non cuocere il polline o scioglierlo in un liquido molto caldo (+ di 45°). E’ preferibile consumare il polline la mattina a digiuno, ma non ci sono inconvenienti se se ne fraziona il consumo durante la giornata, prima, durante o dopo i pasti.
Molto importante è la regolarità e continuità di assunzione con periodi minimi di un mese: sono consigliate cure di un mese e mezzo per ogni cambio di stagione, specie in primavera e autunno. La dose consigliata è di 20-30 grammi al giorno, per i bambini da 6 a!2 anni 10-15 grammi al giorno e 5-10 grammi per i bambini da 3 a 5 anni. Si ricorda che un cucchiaino colmo di polline equivale a 6 grammi, un cucchiaio a 15 grammi, un cucchiaio colmo a 24 grammi.

LA CERA D’API

E’ costituita da una miscela di sostanze grasse, una combinazione di alcool e acidi grassi, secreta dalle ghiandole cerarie situate nella parte inferiore dell’addome di operaie di età compresa fra i 12 e i 18 giorni. La cera si rammollisce col calore e fonde a 62.5° C; le api la plasmano con le loro mandibole, aggiungendovi piccole quantità di propoli e polline, circa il 5%. II suo peso specifico è pari a 0,966; leggermente inferiore a quello dell’acqua; mettendo la cera nell’acqua bollente è quindi possibile fondere e purificare la cera, che galleggia. La cera d’api aveva nel passato numerosi impieghi e costituiva un’importante fonte di reddito per l’apicoltore. Attualmente non ha più tale rilievo, in quanto è stata sostituita da prodotti di origine minerale o sintetica, meno costosi (es.: la paraffina per le candele). Per produrre un Kg. di cera le api consumano circa 10 Kg. di miele. L’ape utilizza la cera per costruire i favi dell’arnia e per opercolare le celle contenenti miele. più di cento api operaie sono necessarie per costruire una sola celletta. Attualmente la cera viene utilizzata per la fabbricazione di candele dal sottile profumo, per il trattamento di mobili e pavimenti e soprattutto in cosmetica per la fabbricazione di prodotti per il viso e la pelle. Viene utilizzata anche in agricoltura, unitamente alla propoli, per la fabbricazione di pomate cicatrizzanti. Quando è possibile è senz’altro utile masticare miele di favo per le sue proprietà contro sinusiti, raffreddori e bronchiti, dovute soprattutto alla propoli contenuta nella cera.

LA PROPOLI

La propoli è una sostanza resinosa raccolta dalle api nelle gemme di certe piante: pioppi, betulle, salici, ippocastani, pini, abeti, querce, olmi, ontani. L’ape stacca un frammento di resina nella gemma con l’aiuto delle mandibole. Poi essa lo trasporta, con le zampe anteriori ed intermedie, nei contenitori pollinici delle zampe posteriori. Ammucchia più particelle resinose finchè il carico è completo, poi porta il tutto nell’arnia. Qui, alcune api operaie incaricate di tale lavoro, liberano la bottinatrice dalla propoli raccolta e, prima di immagazzinarla, la arricchiscono delle loro secrezioni salivali ricche di fermenti. La propoli ha un colore bruno, con tutte le sfumature possibili, dal giallo al nero, spesso con effetti rossastri e verdi. ll colore varia a seconda della provenienza. II suo odore è fortemente aromatico e sa di resina, cera e miele.
II termine “propoli” deriva dal greco “pro polis”, cioè “davanti” o meglio “a difesa della città”. L’uso più evidente che le api fanno infatti della propoli è per chiudere in parte l’ingresso dell’alveare allo scopo di proteggere la colonia dai rigori invemali e dai numerosi predatori. Con la stessa sostanza le operaie ricoprono tutti i corpi estranei penetrati all’interno dell’alveare, quali ad esempio le spoglie di una bissca o di un topo, troppo ingombranti per essere trasportate fuori dall’alveare. Così facendo le api evitano il propagarsi di infezioni nell’arnia.

La propoli è così composta:

resine e balsami 50-60%
cera 30-40%
olii essenziali 5-10%
polline 5%
altre sostanze 5%
Proprietà terapeutiche. L’uso terapeutico della propoli si basa su ben determinate proprietà connesse alla sua origine e composizione, che sono:

battericide e batteriostatiche su molti batteri patogeni,
cicatrizzanti, riepitelizzanti,
antifungine,
antivirali,
stimolanti delle capacità immunologiche dell’organismo,
anestetiche,
protettiva ed elasticizzante delle pareti dei vasi sanguigni,
favorente i processi biochimici dell’assunzione da parte delle cellule della vitamina C,
antinfiammatoria a livello delle mucose e delle articolazioni.
La propoli, pura od associata ad altre sostanze, si presta ad un numero infinito di preparazioni.

La tintura (alcool etilico e propoli) rappresenta forse una delle più antiche forme di impiego della propoli e sicuramente quella oggi più diffusa in campo medico-farmaceutico, erboristico e anche agricolo. La tintura si ingerisce diluita in acqua o latte (da 10 a 15 gocce in tre dita di liquido, a seconda della concentrazione della tintura), oppure viene utilizzata per fare gargarismi, tamponamenti, pennellature e inalazioni.

II miele al propoli (miele, alcool etilico, propoli) rappresenta un dolce espediente per facilitare l’assunzinne della propoli, il cui sapore aspro e pungente ne rende talvolta difficoltoso il consumo nella forma grezza.

L’oleum propolis (propoli in polvere, olio di oliva o di mandorle) presenta proprieta battericide, cicatrizzanti e rigeneranti e può essere impiegata nella cura di ferite, piaghe e ustioni.

La propoli in granuli o in polvere è indicata per tutte le applicazioni che richiedono un uso interno e in particolare per i disturbi dell’apparato digerente e urinario. In questo caso si assume un grammo di propoli tre volte al giorno prima dei pasti insieme ad acqua o latte e miele. La cura si inizia con un solo grammo il primo giorno, due grammi il secondo giorno, fino ad arrivare a tre grammi il terzo giorno.

L’utilizzo della propoli è diventato sempre più comune. nella preparazione dei cosmetici naturali destinati:

all’igiene del cuoio capelluto (shampoo, balsami, lozioni, gel),
alla pulizia delle pelli grasse (saponi, creme, unguenti),
all’igiene dei denti e del cavo orale (dentifrici, gengidentifrici, colluttori, ecc.).
La propoli viene usata anche in artigianato come materia prima per la fabbricazione di particolari vernici per strumenti musicali a corda e mobili.

La propoli non si altera, se tenuta alfreddo e al riparo dalla luce, anche per cinque anni e più.

IL VELENO D’API

II pungiglione dell’ape è composto dal pungiglione vero e proprio, dal sacchetto che contiene il veleno e da un apparato muscolare che contraendosi spinge il veleno all’interno del pungiglione e quindi nei tessuti della vittima. II pungiglione presenta una seghettatura che ne impedisce l’estrazione e si trova vicino all’orifizio anale. Ora, quando l’ape punge, il pungiglione rimane conficcato nella vittima, e l’ape nel tentative di scappare, strappa la parte terminale dell’intestino, che rimane attaccata all’apparato muscolare del pungiglione. Essa ne rimane cosi gravemente menomata che la sopravvivenza generalmente è limitata a un giorno o due. II contenuto di veleno che viene iniettato si aggira intorno a 0,1-0,5 milligrammi a seconda delle stagioni. D’estate il veleno è in maggiore quantità, d’inverno invece è meno concentrato.

Esso viene secreto da due ghiandole, una acida e una alcalina, situate nell’addome dell’ape. Quando si viene punti da un’ape il nostro organismo si difende producendo gli anticorpi che accerchiano il veleno e lo eliminano. Se una persona è allergica (il 2% della popolazione è allergica al veleno dell’ape ), gli anticorpi, invece di eliminare il veleno, stimolano le cellule a cui essi sono attaccati a liberare l’istamina. Essa provoca tutte quelle reazioni dannose che vanno dal semplice rossore alle altre reazioni banali che di solito tutti hanno nel punto in cui si viene punti dall’ape, oppure in soggetti particolarmente allergici, nei quali si libera in grandi quantita, può dare tutte quelle reazioni molto più gravi che portano allo shock anafilattico che può arrivare alla perdita della coscienza, alla caduta della pressione ed all’arresto cardiaco, se non si interviene in tempo.

Naturalmente il veleno delle api non è solamente dannoso, ma può avere anche degli effetti benefici. E l’apiterapia è conosciuta fin dagli egizi. II veleno delle api lo si può utilizzare sia facendo pungere direttamente l’ape, oppure iniettando in piccole dosi il veleno ricavato con un’apposita apparecchiatura dalle api. Ma perchè il veleno d’api è efficace nella cura di alcune patologie? In esso è contenuta una particolare sostanza: “la melittina”, che è presente per circa il 50% del peso secco del veleno. La melittina ha un’importanza fondamentale perchè agisce sul sistema nervoso bloccando la trasmissione degli impulsi nervosi a livello dei gangli del sistema nervoso vegetativo. In pratica essa rallenta il trasporto delle sensazioni dolorose lungo le fibre del sistema nervoso. Quando un’ape, per difendersi, punge un’altra ape, il veleno iniettato blocca il sistema nervoso vegetative, l’ape colpita rimane paralizzata e muore.

Dal punto di vista medico le indicazioni per l’uso del veleno d’api sono: le malattie reumatiche, le lombalgie, le malattie del sistema nervoso periferico, le ulcerazioni dovute a vene varicose, gli infiltrati infiammatori senza suppurazione, le infiammazioni delle articolazioni senza infezione, l’ipertensione arteriosa, gli edemi, le emicranie, tutte le malattie in cui è coinvolto il sistema nervoso, le malattie del sistema circolatorio. In URSS e in altri paesi dell’est la terapia mediante veleno d’api è abbastanza diffusa.